PROTOCOLLO COIMBRA
Il protocollo con alte dosi di vitamina D
Il protocollo del dottor Coimbra prevede elevati dosaggi di vitamina D per combattere numerose patologie. Questo modo nuovo di utilizzare la D, sfruttandone le enormi potenzialità di riequilibrio del sistema immunitario, soprattutto nelle malattie autoimmunitarie.
Il metodo di cura con alte dosi di vitamina D è stato sviluppato dal neurologo Cicero Galli Coimbra. Diversi anni fa, cercando nuove possibilità terapeutiche nelle malattie neurodegenerative, Coimbra ebbe la possibilità di conoscere una gran mole di dati scientifici riguardanti la vitamina D, la maggior parte dei quali non era minimamente utilizzata nella comune pratica clinica. Si rese conto allora che un grande numero di pazienti avrebbe potuto trarre grandi giovamenti dall’applicazione di quei dati su loro stessi. Così cominciò a somministrare delle dosi considerate piuttosto alte (10.000 UI) di vitamina D a pazienti affetti da malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson.
Il suo semplice ragionamento era: non è possibile che la natura possa creare spontaneamente una condizione di tossicità con queste dosi, considerato che il corpo umano è in grado di sintetizzare 10.000 UI e più di vitamina D dopo circa 20 minuti di esposizione al sole. Inoltre, negli ultimi anni c’era un comune accordo tra gli scienziati sulla revisione delle vecchie RDA di 400/600 UI giornaliere, considerate per lo più inefficaci, a favore delle 7000 UI, dose considerata utile e sicura.
Uno dei pazienti di Coimbra, affetto da Parkinson e al quale era stata prescritta la dose di 10.000 UI, tornato al controllo dopo alcuni mesi mostrò, oltre al miglioramento delle condizioni cliniche, anche la regressione di alcune chiazze di vitiligine da cui era affetto.
Questo fu il punto di partenza per un approfondimento degli studi sul sistema immunitario in relazione all’efficacia della vitamina D nelle malattie autoimmuni. Infatti tale sostanza è un potente regolatore del sistema immunitario, in grado di calibrare la funzione di migliaia di geni in ogni cellula immunitaria.
Coimbra cominciò dunque a sperimentare su tutti i pazienti affetti da patologie autoimmuni la somministrazione di 10.000 UI di vitamina D3, constatando benefici più o meno grandi, ma si rese conto che questa dose non influiva sul decorso della malattia. Allora provò ad aumentare gradualmente i dosaggi, adattandoli alla resistenza individuale del paziente monitorata sul valore del paratormone (PTH).
Il neurologo ha usato un dosaggio iniziale modulandolo dopo pochi mesi (cioè aumentandolo o diminuendolo) in base al valore del PTH, che dovrebbe attestarsi intorno ai minimi del range.
L’importanza della misurazione del paratormone (PHT) per la D e il calcio
Sostanza secreta dalle ghiandole paratiroidi, il PTH regola il metabolismo del calcio e funge da interfaccia della vitamina D; più alta è quest’ultima (come valore ematico), più si abbassa il PTH. Tale abbassamento a opera del livello di vitamina D è il risultato finale di una catena di eventi che includono tutti i processi di attivazione di quest’ultima (idrossilazione, trasporto, attivazione dei recettori VDR ecc.); l’ultimo di questi è la riduzione del PTH, a testimonianza della piena attività della vitamina D.
Una cosa da evitare è che il PTH scenda a livelli talmente bassi da essere indosabile: questo evento porterebbe al rischio di deplezione di calcio dalle ossa, con conseguenze pericolose per lo scheletro e i reni. Pertanto, se non viene soppresso il PTH possiamo avere la sicurezza che le alte dosi di vitamina D somministrate non sono tossiche.
Dobbiamo inoltre sapere che il calcio ematico influenza il PTH ancora più della vitamina D. Pertanto, adottando la dieta con restrizione di calcio necessaria allo scopo di evitare una possibile ipercalcemia (data l’elevata quantità di vitamina D usata), dobbiamo controllare che essa non sia eccessivamente povera di questo minerale in assoluto.
Tale misura è necessaria per evitare che un’eventuale ipocalcemia stimoli troppo il valore ematico del PTH; in questo caso ciò dipenderebbe molto più dal calcio e poco dalla vitamina D, falsando l’interpretazione dei risultati. Quindi se un paziente adotterà una dieta troppo povera di calcio, il PTH ematico salirà per ripristinare il normale livello della calcemia, mentre se assumerà una dieta con troppo calcio il PTH si abbasserà indipendentemente dalla vitamina D, dando perciò un risultato falsato per gli scopi che ci si prefigge.
Gli esiti del protocollo
Con questo protocollo le malattie autoimmuni, secondo l’esperienza del dott. Coimbra e di altri medici che lo applicano – compreso il sottoscritto – possono andare in emissione, cioè fermare la loro progressione, approssimativamente nel 95% dei casi, nei quali la malattia rimane silente, senza nuovi segnali né clinici né radiologici di avanzamento.
Ovviamente i soggetti che hanno già manifestato gravi e inveterati danni causati dalle loro malattie, pur avendo dei benefici o fermando la progressione della patologia ne conserveranno i deleteri risultati.
Invece, in circa il 5% dei casi si può assistere a qualche piccolo miglioramento ma non alla remissione dell’attività della malattia.
Le cause della scarsa responsività alla vitamina D possono essere solo ipotizzate. La più importante di esse è rappresentata da alti livelli di stress. Infatti questa condizione può influire direttamente e negativamente sulla malattia, come anche studi recenti testimoniano.
Altri elementi poco meno importanti dello stress sono il fumo di sigaretta, l’abitudine a un ampio consumo di alcolici, i bagni troppo caldi e le frequenti infezioni, sia urinarie che di altro tipo. Queste condizioni, se presenti, possono continuare ad aggravare l’evoluzione della patologia, indipendentemente dalla vitamina D così come da altre terapie tradizionali.
A chi si rivolge il protocollo
Il protocollo del dott. Coimbra è adatto per curare tutte le malattie autoimmuni, in quanto non è specifico per una di esse ma serve a regolare fisiologicamente il sistema immunitario, interrompendo la spesso devastante reazione autoimmune. Durante l’esecuzione di questo protocollo il sistema immunitario aumenta la quota dei cosiddetti linfociti T regolatori, che bilanciano appunto tutta l’immunità dell’organismo e, allo stesso tempo, inibiscono l’iperreattività dei linfociti Th17, responsabili come abbiamo visto della risposta autoimmune. In seguito a entrambe queste azioni, la malattia va in remissione e il paziente, se non ha ricevuto gravi danni in precedenza, diviene in grado di condurre una vita piena e normale. Infatti dobbiamo considerare che negli individui affetti da patologie invalidanti progressive, come la sclerosi multipla o l’artrite reumatoide
di vecchia data, le suddette malattie possono aver causato danni pressoché irreversibili come la paralisi nel primo caso o le deformità articolari nel secondo.
In questi casi interrompere la progressione della malattia o provocarne la remissione non significa far scomparire i vecchi sintomi ormai strutturati ma la vitamina D è, comunque, in grado di apportare benefici e miglioramenti specie sulla stanchezza e l’infiammazione in tutte le sue forme. Generalmente i sintomi molto più recenti, per lo meno inferiori a un anno, possono essere suscettibili di regressione.
Ovviamente questo protocollo non porta a una guarigione ma a una costante remissione della malattia e dei sintomi per un tempo indefinito sino a che si continua a seguirlo. Ciò non significa necessariamente che esso debba essere protratto per tutta la vita. Possiamo pensare e sperare che il sistema immunitario, con il tempo, “dimentichi” il suo passato autoimmune e proceda nella regolarità, in modo tale che si possa fare a meno delle alte dosi di vitamina D.
Ulteriori studi sono in corso ma, per il momento, possiamo accontentarci dei notevoli risultati ottenuti.
Il protocollo con la vitamina D necessita anche di altri integratori, come abbiamo detto in precedenza, quali il magnesio, minerale da cui gli enzimi che convertono e attivano la vitamina D sono in larga parte dipendenti; e siccome una carenza di magnesio è difficiÌe da diagnosticare, a dispetto dei suoi valori nel sangue, è quanto mai utile fornire una piena e costante supplementazione di questo elemento fondamentale.
Degli altri integratori, quali la vitamina B2 (importante per gli enzimi idrossilasici che scandiscono le tappe di attivazione della vitamina D), gli omega 3, lo zinco, il selenio, la vitamina K2, l’acido folico ecc. abbiamo parlato in precedenza.
Dobbiamo solo ricordare che ogni malattia autoimmune necessita di un adattamento della terapia e dei suoi dosaggi.
Precauzioni indispensabili
Le alte dosi di vitamina D utilizzate in questo protocollo possono essere considerate tossiche per la medicina convenzionale, ma si deve considerare che esse non vengono prescritte per una persona sana, caratterizzata da una normale metabolizzazione o priva di una particolare resistenza alla vitamina D. I soggetti affetti da patologie autoimmuni, invece, necessitano di alti dosaggi e, per evitare qualunque rischio, devono come detto in precedenza sottoporsi a una dieta con restrizione di calcio e, soprattutto, a un’abbondante idratazione (con almeno 2,5 litri di acqua o liquidi al giorno) utilizzando necessariamente un’acqua a basso contenuto di calcio. Oltre a ciò essi devono essere strettamente monitorati da un medico esperto in questo tipo di protocollo ed eseguire periodicamente dei test ematici legati al metabolismo fosfo-calcico. Tutte queste misure devono essere adottate allo scopo di proteggere i reni che, in caso contrario, potrebbero soffrirne. Inoltre è altrettanto necessario che questi pazienti facciano del movimento fisico di tipo aerobico per mantenere una normale mineralizzazione ossea, monitorando lo scheletro con periodiche densitometrie in quanto, nel lungo periodo, l’inattività e l’alto dosaggio della vitamina D somministrata potrebbe condurre a una maggiore demineralizzazione ossea.